Sono passati diversi anni dalla prima volta che ho preso una macchina fotografica con l’idea di scattare una fotografia seria. Per seria intendo una fotografia con un pensiero dietro, una storia, una scelta d’inquadratura ben precisa. Da quella volta ho scattato migliaia e migliaia di fotografie. Molte con quell’intento altre per puro divertimento. In questo ultimo mese ho scattato principalmente in analogico, rullino bianco e nero Kodak Tmax 400. Ho un’attrezzatura digitale importante a casa ma difficilmente la porto sempre dietro con me. Spesso nella mia borsa nascondo una macchina analogica, per l’esattezza una Yashica passata di mano da mio padre a me. Porto con me questa macchina perché voglio apprendere una lezione ben precisa, aspettare. Aspettare principalmente due cose: lo scatto giusto sapendo che ho a disposizione solo 36 pose e l’attesa di vedere la fotografia appena realizzata. Una sorta di ritorno alle origini. Lavorando principalmente come fotografo di matrimoni ti accorgi che il più delle volte, per non dire sempre, vai di fretta. Durante il servizio fotografico si corre, si inquadra e si scatta tutto secondo uno schema frenetico. In quella giornata ogni istante, ogni attimo ha un significato e bisogna esser attenti a non perderli. Stessa cosa per la post-produzione. Arrivo a casa, scarico le immagini per paura di perderle dalle schede di memoria e nel frattempo riguardo gli scatti dei momenti salienti per esser sicuro di non aver bruciato qualcosa dopodiché si inizia la post-produzione per non far passare molto tempo per la consegna. Tutto questo mentre l’evento si è svolto qualche ora prima e quelle fotografie sono ancora vive nella mente.
Ecco perché la fotografia analogica. E’ una specie di soggiorno in una SPA, un momento di relax per me e la fotografia.
Ieri ho sviluppato questo rullino. In attesa di una scansione “professionale” ho unito smartphone e iPad per avere una prima immagine positiva. Una di quelle fotografie l’ho pubblicata in questo articolo. Credo che sia la mia fotografia più importante. L’ho voluta inserire così, con il mio dito in evidenza perché la sento mia, è una testimonianza diretta per dire che sì, è mia.
E’ una fotografia intima, un momento rubato alla mia vita quotidiana anzi alla nostra vita. Ho riflettuto più e più volte se pubblicarla o no. Ho combattuto con diversi pensieri che mi dicevano di non farlo ma non ho saputo resistere. E’ la mia fotografia, una parte del mio mondo.
Il fotografo inquadra, scatta e mostra ecco, questo sono io.