Sono trascorsi sei mesi, sei mesi dal terremoto, dalla neve, dalla fuga. Sei mesi senza una casa. Siamo sempre al residence perché siamo abituati a gestire le emergenze non a chiuderle. Perché è più facile spendere per l’emergenza e non per la ricostruzione. E’ fin troppo semplice riparare le scale invece di sprecare soldi su soldi per tenerci fuori casa. Perché in Italia funziona così: da una parte si ride, dall’altra si cerca di sopravvivere.

Nulla è cambiato in questi mesi, tranne noi. Il terremoto ti cambia. Credo che per me ci sarà sempre un prima e un dopo. Lo sento quando vado a dormire, quando sto per prendere sonno ma non faccio altro che rigirarmi nel letto perché ho qualche sensazione strana. Ci sarà anche una volta rientrato a casa perché il pensiero del terremoto non andrà mai via. L’ho sempre temuto, figuriamoci ora. Dicevo che il terremoto di cambia ma l’esperienza umana ti segna per sempre. Inizi a perdere fiducia verso tutto e tutti. Inizi a guardare male chi ti dice: “Devi adattarti” o ancora “Non sei contento che sei al mare?”. Su questa ultima frase voglio farvi riflettere.

No! Non lo sono. Ecco il perché:

Perché non ho scelto io di starci, perché non è una vacanza, perché ho una casa e voglio tornarci, perché è dura vivere in una camera per sei mesi, perché lo è ancora di più se hai un bambino di due anni, perché la mattina ti svegli e pensi a come far passare la giornata perché di questo si parla: far passare i giorni, perché trovi una normalità solo quando sei al lavoro, perché vedo il mare da Gennaio e ne ho piene le scatole, perché spendi soldi inutilmente o magari per comprare cose che hai a casa ma che ti servono anche qui, perché vorrei vedere giocare Leonardo nella sua camera, perché vorrei svegliarmi nel mio letto. Perché è la normalità che ti manca, perché se vogliamo essere materiali mi manca la mia televisione, la mia playstation, il mio WiFi, i miei film, il mio Sky, il mio bagno, la mia doccia, il mio letto, le mie comodità.

Molte volte mi dico (o mi sento dire), “alla fine poteva andare peggio e non puoi lamentarti”. Giusto, più che giusto anzi giustissimo. Ma perché per sentirmi meglio sono costretto a pensare che ci sia un peggio? Ci penso spesso a chi ha perso tutto, a chi deve ricominciare da zero o a chi non può neanche stare qui a raccontarla. Loro hanno la vera tragedia, non io. Io ho solo scale e ascensore inutilizzabili.

Sei mesi, sono trascorsi sei mesi e noi siamo ancora nell’emergenza.

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